LA VEDOVA DI PAULO FREIRE A COLLOQUIO CON IL PAPA
Sul punto di vista dei «condannati della Terra» ha fondato la sua intera opera: è così che sarà sempre ricordato il grande pedagogista brasiliano Paulo Freire, autore (tra gli altri) di un volume che ha fatto storia, “La pedagogia degli oppressi”, centrato sul principio dell'educazione come strumento di liberazione, in un processo di autoformazione collettiva (attraverso un metodo di alfabetizzazione centrato sulla partecipazione attiva e consapevole, a partire dalle aspirazioni e dalle esigenze concrete degli educandi) in grado di superare gli schemi della cultura di classe,
di un'educazione «bancaria», autoritaria e discriminatoria, che vede l'alunno come un conto vuoto in cui il docente è chiamato a depositare meccanicamente ciò che sa. Un libro scritto durante il suo esilio in Cile, dove Freire era arrivato dopo il colpo di stato in Brasile del 1964, e pubblicato in spagnolo e in inglese nel 1970, con una dedica che è già di per sé un manifesto: «Agli straccioni nel mondo e a coloro che in essi si riconoscono, e così riconoscendosi con loro soffrono, ma soprattutto con loro lottano».
Di lui, di ciò che la sua prospettiva rivoluzionaria può ancora dire alla Chiesa, ha voluto parlare a papa Francesco Ana Maria Araújo Freire, la seconda moglie del grande pedagogista (la prima moglie, Elza Maia Costa de Oliveira, sua collega di insegnamento, è morta nel 1986), la quale sottolinea come il concetto di mondanità del grande pedagogista, nella sua relazione non dicotomica con la trascendentalità («Sto con Marx nella mondanità, ma in cerca di Cristo nella trascendentalità», scriveva Freire), sia anche un segno distintivo del pontificato di Francesco: il principio, cioè, che la trascendentalità debba necessariamente «passare per la vita concreta degli uomini e delle donne sulla terra». Di seguito l'intervista che ci ha concesso dopo il suo incontro con il papa. (claudia fanti)
UN'EDUCAZIONE MAI NEUTRALE
Intervista ad Ana Maria Araújo Freire
Come è andato il suo incontro con il papa?
È stato molto emozionante. Volevo incontrarlo per parlare con lui di come la Chiesa cattolica valuta l’opera di Paulo, il suo messaggio profondamente liberatore. Pensavo che mi dedicasse solo pochi minuti e invece la conversazione è andata avanti per 40 minuti ed è stata molto feconda. Ho auspicato che i domenicani, i salesiani, i gesuiti, ecc. studino i testi di Paulo sulla pedagogia della liberazione e gli ho anche chiesto se sia possibile avviare una ricerca negli archivi vaticani sulla ripercussione che La pedagogia degli oppressi ha avuto all’interno della Chiesa cattolica. Ma mi ha spiegato che il Vaticano consente di fare ricerche solo su vicende che si sono svolte almeno 70 anni fa. Ho anche parlato dell’importanza del suo pontificato, permeato da quello che Paulo chiamava “mondanità”, in relazione non dicotomica con la trascendentalità: la trascendentalità, cioè, deve passare per la vita concreta degli uomini e delle donne sulla terra. Non si può più pensare ad una Chiesa che non sia profetica, una Chiesa che non ponga al centro gli esseri umani. E perché ciò sia possibile occorre pensare in termini di estrema concretezza: se si è sazi o se si è affamati, se si dorme o meno sotto un tetto, se si è costretti a vivere da perseguitati fuggendo per il mondo, se si muore in mare inseguendo un sogno di libertà. Occorre pensare alla violenza che dilaga nel mondo, determinata dal sistema capitalista, con la sua ossessione per il denaro e per i beni materiali. Un sistema per cui la vita non vale niente. Paulo ha trattato la questione dell’etica come affermazione della vita, contro la malvagità neoliberista e il suo cinico rifiuto del sogno e dell'utopia. Il principio dell’etica è la vita, nella sua concretezza: le persone possono vivere solo se mangiano, dormono, vanno a scuola, hanno la possibilità di curarsi, possono condurre una vita minimamente sana. E la Chiesa cattolica deve partire da qui. La direzione deve essere dal basso - dalle rivendicazioni di ogni popolo in ogni società - verso l'alto, come ha sempre evidenziato Paulo. Non può più essere una piccola élite – prima la nobiltà, poi la grande borghesia e oggi pochi borghesi miliardari – a comandare e decidere tutto: come devono vestirsi le persone, se mangeranno o no, se e cosa la scuola insegnerà loro. I giornali non dicono, la scuola non dice. E così la gente non sa quel che succede davvero nel mondo. Mi sono soffermata su questi aspetti e il papa si è sempre mostrato d’accordo.
Oggi, nel contesto attuale del Brasile, cosa rappresenta il pensiero, la visione del mondo, la comprensione dell’educazione di Paulo Freire?
Io penso che, in un quadro di così profonda oppressione, di così pervasiva violenza, l’opera di Paulo Freire sia oggi ancora più significativa che nel momento in cui è morto, nel 1997. A partire dal 1970, con La pedagogia degli oppressi, e poi con i libri successivi, la sua opera è stata letta in tutto il mondo, in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in tutta l’America Latina, in Asia, in gran parte dell’Africa. Poi, negli anni '90, con la diffusione del decostruzionismo, è stato pesantemente ridimensionato il valore dell’utopia, del sogno di un mondo migliore: il mondo è così com'è, un regno animale in cui il più forte prevale sul più debole. Ma chi non si rassegna a questa visione, che è stata incorporata dal neoliberismo con le conseguenze perverse che conosciamo, torna a rivolgersi alle opere di Paulo. Il filosofo Henrique Dussel ha detto una volta che i due più grandi pedagogisti della storia dell'umanità sono stati Rousseau e Paulo Freire. Ma Paulo è andato oltre, perché la sua pedagogia non parte da un essere immaginario come il giovane Emilio, bensì dalla sofferenza, dalla gioia, dalla miseria, dalla paura e dagli interessi delle persone concrete nella loro quotidianità, perché diventino più pienamente persone, superando le condizioni e le relazioni di oppressione.
Paulo Freire ha affermato che l’educazione non è solo un atto pedagogico ma anche un atto politico. Non è proprio di questo che oggi si sente la mancanza?
L'opera di Paulo ha rappresentato qualcosa di speciale: l'offerta di un'educazione al servizio della trasformazione politica ed economica degli oppressi. Una mia nipote mi ha chiesto se sarei venuta a parlare della mia vita con Paulo, di una vita fatta di complicità, di comunione di idee, di armonia, di fiducia, di amore profondo. Le ho risposto che preferivo parlare dell’educazione come Paulo l'ha sempre intesa, di un'educazione, cioè, che è essenzialmente politica, che non è mai politicamente neutrale, in quanto non può essere egualmente al servizio di fasce della popolazione con interessi contraddittori o persino opposti. Quando si fa educazione, sarà sempre a favore di qualcuno e conseguentemente contro qualcuno. Quando si dà una notizia su un giornale, sarà sempre a favore o contro un determinato interesse. Io penso che in Brasile, più che in qualsiasi altro posto, la stampa sappia ingannare e illudere la popolazione. Perché le persone scendono in strada contro il governo Dilma, contro il PT? Perché pensano che quello che dice la stampa è vero e incontestabile. È vero che c’è corruzione, che sono state messe le mani sulla Petrobras, che era uno dei grandi vanti brasiliani, al pari del carnevale o del calcio, basti pensare all'importanza del progetto del pre-sal. Ma quel che è sbagliato è far passare l'idea che questo avvenga solo in Brasile e che la soluzione sia quella di sostituire il governo attuale con uno di destra. Un governo che provvederebbe a vendere la Petrobras, perché, secondo la destra, solo il privato funziona, mentre il pubblico è alla mercé dei ladri, come se non vi fossero milioni di casi di ruberie e di corruzione nelle imprese private. La soluzione, perché le cose funzionino bene, non è certo quella di disfarsi del patrimonio nazionale.
Lei ha accennato al progetto del pre-sal. Ma in un un'epoca così profondamente segnata dalla minaccia di una catastrofe climatica, e a fronte dei dati forniti dagli scienziati - secondo cui, per avere la speranza di mantenere il riscaldamento globale entro i due gradi centigradi, è necessario lasciare inutilizzato almeno un terzo delle riserve di petrolio globali - non sarebbe meglio lavorare per il superamento di un modello dipendente dai combustibili fossili, un modello tanto più impraticabile di fronte alla crisi del picco del petrolio (l'idea, cioè, che la produzione del petrolio convenzionale, quello prodotto con facilità e a basso prezzo, abbia raggiunto il suo massimo e stia iniziando a declinare)? E non dovrebbe essere proprio questo il compito dei movimenti popolari: quello di spingere in direzione di un altro modello energetico?
Che alternative ci sono? Nelle condizioni attuali non è possibile sostituire il modello esistente con uno basato sull’energia solare e su altre fonti rinnovabili. Il Brasile si sta impegnando a ridurre le proprie emissioni, contrariamente ad altri Paesi che hanno maggiori responsabilità in relazione al riscaldamento globale. Se il Brasile non utilizzasse il petrolio del pre-sal, gli altri Paesi smetterebbero forse di consumare petrolio? Purtroppo, il pre-sal è necessario. Anche se, è vero, in Brasile si potrebbe aumentare la produzione di energia solare.
Fino agli anni '50, avevamo in Brasile un servizio ferroviario che era al secondo posto nel mondo. Ma il governo di Juscelino Kubitschek concluse un accordo con gli Stati Uniti per lo smantellamento della rete ferroviaria, così da favorire automobili e camion. È stata una tragedia nella storia del nostro Paese. Se il Brasile disponesse di un avanzato e confortevole servizio ferroviario, si potrebbe andare da São Paulo a Recife in due giorni e le strade non sarebbero così piene di camion. Del resto, se si estrae il petrolio, è sicuro che ci sarà la benzina. Oltretutto, diversi fiumi su cui viaggiavano le merci si sono prosciugati. Il Brasile è il Paese delle acque eppure ne stiamo soffrendo la carenza. C’è un disastro ecologico in atto e se ne parla pochissimo.
Si può affermare che la strategia dei governi del Pt di migliorare le condizioni di vita del popolo senza però scontrarsi con gli interessi del grande capitale sia giunta al capolinea?
Non c’è stata, è vero, una rottura del modello dominante. In linea teorica, Lula avrebbe potuto impegnarsi a realizzare un governo socialista, avrebbe potuto smettere di favorire l’agrobusiness per sostenere solo l'agricoltura contadina e i senza terra, avrebbe potuto eliminare il latifondo. Non lo ha fatto. Mi domando: avrebbe potuto farlo? Non lo so. Io credo che non si tratti di mancanza di volontà. Ricordiamoci che il PT non ha conquistato il governo per via rivoluzionaria, ma attraverso le elezioni. Pensiamo solo a quanto sia reazionario l’esercito brasiliano, a quanto si sia impegnato per impedire che venissero alla luce le torture, la repressione, gli omicidi, a quanto abbia ostacolato il lavoro della Commissione nazionale sulla verità.
E pensiamo a quanto sia sporco il gioco della stampa, una stampa che neppure paga le tasse e che è decisa a impedire ad ogni costo che vengano tassate le grandi fortune. Pensavo che la popolazione brasiliana fosse molto più politicizzata, invece si è rivelata assai ingenua.
Oggi assistiamo a una rivolta delle élite. C’è chi dice: come faccio a viaggiare in aereo se posso trovarmi accanto chiunque, persino qualcuno che non sa a cosa serva un tovagliolo, o che ti chiede il permesso di sedersi al posto che gli è stato assegnato? E c'è pure chi se la prende con le classi povere per il fatto che oggi stanno usufruendo di servizi da cui prima erano escluse, come se l’educazione fosse peggiorata a causa dell'aumento del numero di persone che si iscrivono all’università attraverso le borse di studio. Il fatto è che purtroppo non sono aumentate le università pubbliche. In ogni caso, la scolarità è cresciuta molto. Quel che manca in Brasile è la garanzia per i genitori di poter lasciare i propri figli in un posto dove non solo vengano controllati ma anche educati, dove si stimoli in loro un sapere che faciliti il successivo processo di apprendimento.
Si registra una preoccupante ripresa di aggressività da parte della destra, inclusa la destra golpista, in Brasile e in tutta la regione latinoamericana. Esiste il pericolo di una restaurazione conservatrice?
Il pericolo esiste. Per questo le ultime elezioni sono state così importanti. Bisognava evitare ad ogni costo il ritorno della destra. C’è chi diceva: hanno rubato. Chi ruba, è chiaro, deve andare in galera, ma non si può buttare il bambino con l’acqua sporca. Non possiamo rinunciare al progetto di rinnovamento in corso in tanti Paesi dell'America Latina. Così, per esempio, il Movimento dei Senza Terra ha sostenuto il governo Dilma malgrado non gli abbia risparmiato le critiche.
Quando gli è stato chiesto come avrebbe voluto essere ricordato, Paulo Freire ha risposto: «Mi piacerebbe essere ricordato come un soggetto che ha amato profondamente il mondo e le persone, gli animali, gli alberi, le acque, la vita». Di fronte alle tante minacce all'ambiente che si registrano in tutto il mondo, e anche in Brasile, questo può essere letto come un invito a prenderci cura seriamente del nostro pianeta?
Paulo è stato un educatore politico, non un ambientalista, ma aveva a cuore gli esseri umani e la natura. E in alcuni suoi testi ha parlato dell’importanza dell’ecopedagogia. Tutto quello che ha scritto rispetto alla “cura” della vita implica la cura per i beni della natura. Non ha parlato di tutto, è chiaro. Ma oggi, se fosse vivo, non ho il minimo dubbio che sarebbe un ecologista.
a cura di ADISTA