zizek7(Samuel Beckett in Worstward Ho)

In difesa delle cause perse

Questo criterio che fa da filo conduttore della ricerca teorica di Slavoj Žižek pubblicata con il titolo “In difesa delle cause perse” rappresenta probabilmente uno degli spunti più interessanti e fecondi di questo lavoro, in primo luogo dal punto di vista metodologico.

Di questi tempi nei quali  è l’indifferenza, l’opportunismo e il cinico individualismo ad avere la meglio anche in ambiti e in soggetti che, nei decenni precedenti, erano stati molto impegnati nella lotta politica, la giustificazione di tale regressione viene di solito ricercata in una sorta di  disillusione per cui non si crede più che un cambiamento rivoluzionario della società capitalista sia possibile e praticabile. Questa disillusione sarebbe la conseguenza delle sconfitte e dei fallimenti dei tentativi passati.  In altre parole, il ripetersi di epiloghi fallimentari delle esperienze rivoluzionarie, verrebbero a rappresentare un freno, un condizionamento negativo e oramai definitivo della volontà e della forza di impegnarsi in un progetto politico.

Lo spunto interessante del lavoro di Žižek sta proprio nel ribaltamento, profondamente attinente alla dialettica, del metodo di analisi e di valutazione delle esperienze passate (dalla Rivoluzione Francese, alla Bolscevica , alla Rivoluzione Culturale Cinese) visti come tentativi che hanno avuto molti aspetti fallimentari che non possono però offuscare la ricchezza del potenziale emancipatore che non è stato realizzato e del quale invece  il futuro dovrà riappropriarsi.

“Queste sconfitte passate accumulano l’energia utopica… La “maturazione” non aspetta le circostanze “oggettive” per raggiungere la maturità, ma l’accumulazione delle sconfitte” (p.487). O se vogliamo dirlo con le parole di Mao: “Di sconfitta in sconfitta sino alla vittoria finale”.

Con lo stesso criterio di fondo viene affrontata la realtà presente, che oggi più che mai richiede una sorta di disciplina: “una disciplina del tempo che non è né l’impazienza indisciplinata consistente nel fare frettolosamente qualsiasi cosa capiti, per realizzare una qualche idea indefinita e poco elaborata di cambiamento delle cose, né la quieta pazienza della rassegnazione allo stato attuale delle cose, oramai definitivamente alla deriva e / o l’attesa di un imprevedibile arrivo di un “X”…la forma specificatamente comunista di pazienza è anche la pazienza consistente nel perdere le battaglie per vincere la lotta finale. (p.486)

In seguito vogliamo qui segnalare molto sinteticamente anche le principali  questioni di contenuto che vengono affrontate in questo lavoro: innanzitutto la tesi per cui la rivoluzione globale non è diventata ineluttabilmente una causa persa, per cui – sostiene Žižek -  in politica è lecito continuare ad aspirare a sistemi onnicomprensivi e a progetti di emancipazione globali e non solo a forme specifiche di resistenza e di intervento.

“ C’è una paura che ossessiona la sinistra contemporanea (o ciò che ne rimane) la paura di confrontarsi direttamente con il potere statale. L’idea è che il tempo della vecchia sinistra nelle sue due versioni, riformista e rivoluzionaria, che miravano entrambe a prendere il potere statale è finito…oggi ci sarebbe  un nuovo sviluppo sociale “postmoderno” in corso… Coloro che continuano ad insistere sulla necessità di combattere il potere statale, figurarsi poi di impadronirsene direttamente, sono immediatamente accusati di essere prigionieri del “vecchio paradigma”; il compito oggi sarebbe resistere al potere statale sfuggendo alla sua presa, sottraendosi, creando nuovi spazi al di fuori del suo controllo praticando una resistenza nomadica…E se, invece, questo modo di definire il problema fosse parte del problema stesso?” (p.422)

Il fallimento delle esperienze rivoluzionarie viene interpretato come “ il segnale della fine dell’epoca in cui, in politica, era possibile generare la verità a un livello universale, come un progetto, rivoluzionario, globale. Oggi, dopo questa sconfitta storica, una verità politica potrebbe essere generata solo come evento locale, una lotta locale, un intervento in una situazione specifica. Ma, in questo modo non si finisce per aderire a una propria visione del postmodernismo, con l’idea che oggi sono possibili solo atti locali di “resistenza”? (p.500)

Così si condivide “la premessa che l’era del Partito-Stato è finita, che a partire da questo momento la politica deve sottrarsi dal dominio dello Stato, creando spazi all’esterno “luoghi di resistenza”. Il corollario di questo spostamento è l’accettazione del capitalismo come “sfondo” delle nostre vite: la lezione del crollo degli Stati comunisti è che è privo di senso “combattere il capitalismo”…la resistenza si presenta come esodo, come andarsene via da questo mondo”(p.504)

In molti oggi si lamentano che vorrebbero unirsi a una “rivoluzione” (un movimento politico di emancipazione radicale) ma per quanto lo cerchino disperatamente, essi continuano a “non vederlo” (non vedono da nessuna parte nello spazio sociale un attore politico con la volontà e la forza di impegnarsi seriamente in questa attività). Se in ciò c’è un elemento di verità, si dovrebbe però aggiungere che questo atteggiamento è esso stesso parte del problema: se ci si limita ad aspettare di “vedere” un movimento rivoluzionario, esso ovviamente non nascerà mai e non lo si vedrà mai (I menscevichi e coloro che si opposero all’appello di Lenin a una presa del potere rivoluzionario nell’estate del 1917 “non vedevano” le condizioni…essi semplicemente non volevano la rivoluzione) Un’altra argomentazione scettica rispetto al “vedere”è l’affermazione per cui il capitalismo oggi è talmente globale e onnicomprensivo, che non è possibile “vedere” una seria alternativa, non si può immaginare un “esterno” realizzabile. La risposta a questa affermazione è che, se questo è vero, essi non vedono tout court: il compito non è vedere l’esterno, ma in primo luogo vedere, cioè afferrare la natura del capitalismo contemporaneo.  Quando “vediamo” questo, vediamo abbastanza, compreso il modo in cui superarlo…(p.488)

Si pensi, ad esempio, alla differenza tra la nozione capitalista abituale e quella marxista di crisi economica: per il punto di vista capitalista tradizionale, le crisi sono difetti temporanei e correggibili del funzionamento del sistema, mentre da una prospettiva marxista, essi sono il suo momento di verità, l’eccezione che ci consente di cogliere il funzionamento del sistema (p.483)

In modo dettagliato ed esteso, Žižek analizza e critica le tesi per cui le trasformazioni quantitative e qualitative che sono sopravvenute nel processo di produzione capitalista con lo sviluppo dell’automatizzazione e delle cyber tecnologie hanno trasformato il lavoro in puro lavoro cognitivo e immateriale per cui il mezzo primario di creazione del profitto non è più lo sfruttamento del lavoro ma la “mietitura” dell’informazione…(p.444)

Žižek sviluppa la critica a queste pozioni prendendo ad esempio ciò che esprime Negri nel suo “Goodbye Mister Socialism” ed in particolare quando interpreta a suo modo il celebre passaggio sul General Intellect dei Grundrisse di Marx:

“ C’è un elemento di verità nella descrizione di Marx che viene completamente oscurato da Negri: la radicale dualità persistente nel processo di produzione. Oggi, questo dualismo ha acquistato una forma che non era stata ipotizzata da Marx: il “regno della libertà”, il “dominio del lavoro cognitivo”, e “il regno della necessità”, il dominio della produzione materiale, sono separati fisicamente, spesso persino da confini statali. Da un lato ci sono le imprese “postmoderne” che esemplificano i criteri di Negri (comunità libere di “moltitudini espressive” che producono immediatamente le loro forme di vita ecc.); dall’altro, c’è il processo materiale di produzione in cui la piena automazione è ben lungi dall’essere acquisita, così che abbiamo – spesso letteralmente dall’altra parte del mondo – manifatture con un’organizzazione strettamente “fordista” del lavoro, in cui migliaia di persone assemblano computer e giocattoli, raccolgono banane e chicchi di caffé, scavano nelle miniere di carbone o di diamanti e così via. Non c’è una “tecnologia” qui, non c’è la prospettiva che queste manifatture vengano gradualmente integrate nello spazio libero del “lavoro cognitivo” …i due aspetti non si relazionano direttamente uno all’altro: essi sono messi insieme “mediati” precisamente dal capitale. Per ogni lato, il lato opposto appare come Capitale: per le masse di lavoratori nelle manifatture, il Capitale è il potere che, per conto del “lavoro cognitivo”, le impiega per materializzare i suoi risultati, per i “lavoratori cognitivi”, il Capitale è il potere che li impiega per usare i loro risultati come modelli per la produzione materiale. E’ a causa di questo dualismo totalmente ignorato da Negri che il Capitale non è ancora puramente parassitario, ma continua a giocare un ruolo chiave nell’organizzazione della produzione: esso mette insieme i due poli. (p.447)

Altrettanto importante, per afferrare la natura del capitalismo contemporaneo, è comprendere le caratteristiche tipiche della nostra epoca “post-politica” : dalla culturalizzazione del politico, per cui il solo modo per formulare le proprie proteste è sul piano delle rivendicazioni culturali e/o etniche, per cui  i lavoratori sfruttati diventano immigrati la cui “alterità” è oppressa e così via. (p.434)

O ancora comprendere il contenuto fascista e le funzioni dei movimenti e dei partiti populisti  che spuntano numerosi in questa fase e che vengono spesso fraintesi a causa dell’incomprensione di quello che potremmo definire il “paradosso democratico” per cui, se la scommessa della democrazia istituzionale è integrare la lotta antagonista all’interno dello spazio istituzionale, trasformandolo in un agonismo sottoposto a regole, il fascismo procede nella direzione opposta. Il fascismo, nel suo modo d’agire, porta la logica antagonista sino al suo estremo(parlando di “lotta all’ultimo sangue” tra se e i suoi nemici, e mantenendo sempre – se non realizzando – una minima minaccia extraistituzionale di violenza, di “pressione diretta del popolo”, aggirando i complessi canali legali e istituzionali) esso si pone come obiettivo politico esattamente l’opposto, la costruzione di un corpo sociale gerarchico estremamente ordinato. Questa contraddizione si incarna e si riflette  nell’ambiguità della classe media in politica: da un lato la classe media è contro la politicizzazione, vuole solo difendere il proprio stile di vita, che la si lasci lavorare e vivere la sua vita in pace, il che spiega perché tende a supportare i colpi di mano autoritari che promettono di farla finita con la mobilitazione politica della società, così che tutti possano tornare al loro lavoro. Dall’altro – i membri della classe media – sotto forma di maggioranza morale, infaticabile lavoratrice e patriottica – sono i principali istigatori della mobilitazione popolare di massa sotto forma di populismo di destra, (quello dell’esplosione impaziente, del rifiuto di comprendere, dell’esasperazione nei confronti della complessità e della conseguente convinzione che ci deve essere un responsabile per tutto quello che sta succedendo, qualcuno che opera dietro le quinte…). (P.351)

Ed infine, continuando ad interrogarsi sulla maniera in cui è possibile intervenire sulla realtà presente, Žižek traccia un quadro delle forme variegate in cui la sinistra contemporanea ha reagito, con modalità che in parte si sovrappongono,  alla piena egemonia del capitalismo globale e al suo supplemento politico, la democrazia liberale:

  1. La piena accettazione del suddetto quadro: si continua a combattere per l’emancipazione all’interno delle sue regole (socialdemocrazia)
  2. accettazione del suddetto quadro come qualcosa che deve esserci, ma a cui bisogna comunque resistere, sottraendosi alla sua presa e operando nei suoi “interstizi”
  3. accettazione della futilità di tutte le lotte: dal momento che il quadro oggi è onnicomprensivo e coincide con il suo opposto (la logica dei campi di concentramento, lo stato permanente di emergenza) non si può fare realmente niente, si può solo attendere un’esplosione di “violenza divina”. Si tratta di una versione rivoluzionaria del “solo Dio può salvarci”…
  4. accettazione della futilità temporanea della lotta(“nel trionfo odierno del capitalismo globale, non è possibile una vera resistenza, almeno non nelle metropoli capitalistiche, per cui tutto quello che possiamo fare fino al rinnovamento dello spirito rivoluzionario nella classe operaia globale è difendere ciò che rimane dello Stato sociale, bombardare i potenti con rivendicazioni che sappiamo non possono trovare soddisfazione o altrimenti ritirarci negli studi culturali, in cui possiamo continuare in silenzio il nostro lavoro critico”)
  5. fiducia della possibilità di minare le basi del capitalismo globale e del potere statale, non attaccandole direttamente, ma ribaricentrando il campo di battaglia sulle pratiche quotidiane, all’interno delle quali si può “costruire un nuovo mondo” ; in questo modo, le fondamenta del potere del capitale e dello Stato saranno minate gradualmente e, a un certo punto, lo Stato crollerà come il gatto sospeso sul precipizio nei cartoni animati
  6. spostamento “postmoderno” dell’accento della lotta anticapitalista alle molteplici forme di lotta politico-ideologica per l’egemonia
  7. scommessa sulla possibilità di ripetere su un piano postmoderno il gesto marxista classico di mettere in atto la “negazione determinata del capitalismo” (Con l’ascesa attuale del “lavoro cognitivo”, la contraddizione tra produzione sociale e relazioni capitalistiche ha raggiunto un’acutezza senza precedenti, rendendo possibile per la prima volta la “democrazia assoluta”(Negri)

Si potrebbero classificare queste versioni come altrettanti modi di negare la politica vera e propria…contrariamente a Marx per il quale la negazione della negazione produce una nuova affermazione, la negatività odierna, propriamente parlando, non crea niente di nuovo (p.421)

Non è abbastanza stupefacente che delle questioni, delle inquietudini così interessanti e prolifiche scuotano la mente di un filosofo, psicologo, pensatore mentre sempre meno fanno parte dei dibattiti, dei bilanci, delle proposte di soggetti sociali e politici?

Articoli

Link

banner ilmiositojoomla

 aacbanner

 

  

es

 DPI

 

 

 astra