ROMA
• Negli ultimi mesi stiamo assistendo qui a Roma a delle dinamiche sociali inedite, o per lo meno assenti da molti anni, che si sviluppano sul territorio metropolitano come forme di resistenza all’imposizione del modello di città ultraliberista promosso dall’UE e per l’Italia dal Governo Renzi.
La profondità della crisi, l’ampiezza e la varietà dei settori sociali che ne sono colpiti, la molteplicità delle richieste che provengono dalla società e che rimangono puntualmente senza risposta, stanno creando uno scenario favorevole per lavorare alla formazione di un blocco sociale anticapitalista i cui potenziali integranti abbracciano la grande maggioranza delle forze sociali. All’interno di questo quadro c’è anche un altro dato certo: il sistema della democrazia rappresentativa è esausto, le Istituzioni che esprime si sono involute nel loro opposto e sono – tutte – completamente screditate nella coscienza dei cittadini.
• Però, insieme a queste condizioni obiettive favorevoli a alla costituzione di un grande blocco sociale alternativo al capitalismo ultraliberista, esistono delle condizioni soggettive molto complesse che hanno a che fare con un problema di fondo, la dispersione e la disgregazione non solo delle residue forze politiche che dovrebbero impulsare e favorire questo processo, ma anche la divisione e a volte contrapposizione delle forze sociali soggetto di questo processo di ricomposizione.
• Quando parliamo di Blocco Sociale ci riferiamo a un insieme di forze che si oppone al sistema capitalista, innanzitutto alla sua logica del profitto e che lotta per una società differente costruita sulla base degli interessi delle classi lavoratrici, che metta l’uomo e non il profitto al centro delle sue azioni liberandolo dalla povertà materiale e dalle miserie intellettuali che genera il capitalismo.
• Costruire un blocco sociale, lavorare per la ricomposizione di classe soprattutto in alcune congiunture, come per esempio quella che stiamo vivendo a Roma, nelle quali sono le condizioni di difficoltà oggettive che spingono alla convergenza delle frammentatissime componenti del “movimento”, ben coscienti che una rinnovata unità non si potrà ottenere di forma “volontarista”, creando dall’alto coordinamenti che finirebbero solo per rappresentare una sommatoria di sigle.
• L’idea è creare una piattaforma di lotta contro il nemico comune, una piattaforma che vi faccia identificare la maggior quantità possibile di forze, di settori della città che abbiano contraddizioni con quel nemico principale. Usiamo il termine piattaforma che esprime un concetto in parte legato alla congiuntura, mentre la categoria programma evidenzia un progetto più generale.
• Il Programma si lega concettualmente al progetto di costituire un fronte sociale molto ampio, intorno a un progetto di ampio respiro e a lungo termine che avrebbe più la caratteristica di un Fronte politico oltre che sociale. Non un partito, quindi, nel senso di un’organizzazione politica unificata, poiché un Fronte è un’entità politica dove partecipano distinte organizzazioni politiche, ognuna delle quali mantiene la sua autonomia, ma tutte difendono una piattaforma comune, un’intesa comune così come dei meccanismi di funzionamento che implicano, tra l’altro, una certa disciplina
• Dobbiamo cominciare ad adottare nuovi metodi e un nuovo stile di lavoro. Questo significa che i “militanti” più coscienti e preparati devono essere essenzialmente dei formatori e dei pedagoghi popolari, sulla base della consapevolezza che uno dei più importanti fattori educativi sono le esperienze di lotta. Un aspetto della nuova pratica deve essere proprio il superamento di una concezione verticista, autoritaria, “furbesca” delle battaglie politiche che si sviluppano all’interno delle istanze politico-sociali.
Nel momento in cui si metta in pratica una nuova strategia di resistenza e di lotta anticapitalista, è lì che si possono creare condizioni migliori per l’avanzamento del processo di ricomposizione sociale e anche politica.
• Quella che ci troviamo a contrastare non è soltanto la forma congiunturale della politica di Renzi, che ha consegnato il governo tecnico e amministrativo della città a magistrati e poliziotti (da Sabella, Gabrielli, a Tronca e company) con l’evidente intenzione “sveltire” alcune pratiche della politica ultraliberista senza dover preoccuparsi più di tanto del dialogo con i gruppi sociali interessati. Quello che ci troveremo di fronte non sono solo gli apparati della coercizione politica delle classi dominanti, ma soprattutto la loro egemonia sui settori popolari, la loro direzione culturale sulla società, la subordinazione ideologica delle classi dominate.
In poche parole la democrazia borghese continua a godere di un livello sufficiente di consenso tra le masse che gli permette di mantenersi senza dover ricorrere solo alla repressione. Anche a questo dobbiamo prepararci perché la “gestione Tronca” non durerà in eterno e, in tempo di elezioni, entrano ancora più in gioco i meccanismi di fabbricazione del consenso, che sono monopolizzati dalle classi dominanti e che condizionano in gran parte la “volontà” delle masse popolari
Questo aspetto essenziale determina molto le condizioni della lotta.
• Di fronte a queste caratteristiche, una nostra risposta che prevedesse la sola denuncia o anche la sola propaganda delle idee di una società differente e alternativa al capitalismo, si rivelerebbe totalmente inadeguata.
Più che propagandare un’utopia, cercando sterilmente di introdurla in forma passiva nella testa degli uomini e delle donne delle forze sociali, come se fossimo portatori di un “verbo” senza una pratica di costruzione concreta, si tratta invece di intraprendere costruzioni democratiche popolari che siano punti di riferimento. Ciò significa forme di autogoverno locale, fronti del lavoro, nei quartieri, nelle università, ognuno con le sue pratiche e caratteristiche differenti, una pluralità di esperienze che tende ad attirare sempre nuovi settori.
E’ proprio quella maggiore complessità e diversificazione che assume il dominio capitalista, così come la presenza di importanti fattori economici e sociali che producono e riproducono l’attuale disgregazione delle forze popolari, che riescono a sminuire e discreditare agli occhi della popolazione qualsiasi idea o progetto “alternativo”, a rendere indispensabile che qualsiasi progetto alternativo dimostri nella pratica quello che predica. Questa dimostrazione si può effettuare attraverso dei processi di ricomposizione popolare alternativi al capitalismo, che ricerchino la rottura con la logica del profitto e i rapporti che quella logica impone, che instaurino percorsi di solidarietà, che mettano l’uomo sociale al centro della loro pratica.
Ciò può cominciare ad avvenire anche all’interno di territori locali, di spazi che devono essere mantenuti, difesi, sviluppando lotte che apportino contributi alla definizione di un progetto sociale alternativo, dando vita a dei veri e propri livelli di autonomia e di autogoverno, di democrazia popolare, che siano evidentemente superiori alla “democrazia borghese”. E’ possibile trasformare qualsiasi forma di autogoverno locale, territoriale, o le esperienze cooperative, o esperienze di informazione/formazione alternative ecc. in vere e proprie vetrine che dimostrino praticamente la possibilità di un progetto politico-sociale differente ed in questo modo riescano ad coagulare e accumulare le forze.
Sulla base di queste forme di autogoverno popolare, più ampie ed allargate possibile che acquisiscono il carattere di stabilità e di vere e proprie posizioni “di forza” diventa allora possibile sviluppare una lotta permanente che ci permetta di superare la dinamica insidiosa delle vittorie episodiche e delle frequenti sconfitte figlie del “tatticismo” delle scorciatoie, del congiunturalismo, dello spontaneismo di questi anni. Sulla base della costruzione – anche locale – di forme di autonomia e democrazia popolare è anche possibile definire con chiarezza e coerenza il contenuto accessorio e l’opportunità di ogni forma di lotta.
• In questo contesto i Referendum, per esempio, possono rappresentare delle opportunità da cogliere per condurre le battaglie politiche del processo di ricomposizione politico-sociale. Con la partecipazione si ottengono parallelamente due risultati: oltre a contribuire a frenare – in caso di successo - l’applicazione delle misure ultraliberiste, la partecipazione all’interno delle campagne può utilizzare gli spazi allargati che si creano per realizzare una propaganda partigiana e - soprattutto – come opportunità di mobilitare e sperimentare in un’attività concreta di convincimento e di educazione popolare (anche nel “vecchio” metodo capillare casa per casa ) nuovi soggetti che magari si stanno avvicinando alla politica e che vogliono in qualche forma contribuire e partecipare.
Nello stesso spirito possono rappresentare uno spazio interessante anche le elezioni locali nei territori, da una parte perché ci permettono di dare alcuni orientamenti sul contenuto dei programmi delle campagne elettorali, e, nel caso di successo del candidato, arricchire e rafforzare le nostre posizioni sul territorio sul piano dell’interlocuzione con le Istituzioni che vi sono presenti. Inoltre possono essere l’occasione per creare spazi di incontro e di convergenza dei vari comitati, associazioni, cooperative ecc. del Territorio che sono impegnate nella resistenza alle politiche ultraliberiste e, dipendendo dalle condizioni, dal nostro impegno e dalle forze su cui possiamo contare, salvaguardando la specificità di ogni attore sociale o politico dello schieramento che appoggia un determinato candidato, può essere anche l’occasione per stabilire accordi per azioni comuni che rafforzino le lotte e che cerchino di invertire quanto più possibile il processo (nel caso specifico di svendita del sociale) in atto, con l’obiettivo di sviluppare un controllo sociale effettivo sulla gestione pubblica. Le forme e i metodi che si utilizzano servono a delegittimare il sistema, denunciando e criticando le abituali pratiche dei partiti, notoriamente clientelari, poco trasparenti e corrotte. La “ricerca dei voti” deve essere occasione per mettere in vetrina e diffondere una pratica educativa, partecipativa, che serva a far crescere – sia nella coscienza che nell’organizzazione – i soggetti a cui si rivolge la campagna.
Come riflesso di una campagna intesa fondamentalmente dal punto di vista formativo, pedagogico, che usa lo spazio elettorale per una crescita politica degli attori e dei settori investiti in un processo di ricomposizione politico-sociale c’è anche il fatto che – nel caso che i risultati delle urne non siano quelli auspicati - il tempo e le risorse non sarebbero comunque state impegnate nella campagna in vano, al contrario, sarebbero servite a costruire comunque qualcosa.
fonte: C.I.R.C. Internazionale